L’11 luglio 1920, a Spalato, in Dalmazia, vennero uccisi il capitano Tommaso Gulli e il motorista Rossi e feriti il tenente Fontana, Catalano e il sottocapo meccanico Pavone per mano di nazionalisti slavi. Due giorni dopo, a Trieste, durante la manifestazione di protesta sotto il municipio, venne ucciso con tre coltellate all’addome, da parte di uno slavo, il diciassettenne Giovanni Nini da poco arrivato da Novara. In seguito a questo particolare evento i manifestanti si diressero in via Roma sotto l’ufficio jugoslavo per i passaporti, ma nulla di grave poterono fare perché la sede era ben presidiata dai nostri militari.
Si recarono allora verso l’hotel Balkan a quel tempo sede del Narodni Dom (la casa del popolo sloveno), ben protetto anch’esso, ma, appena arrivati in via Galatti, furono accolti da raffiche di revolver e dal lancio di bombe a mano (sono ancora oggi visibili i segni delle pallottole in risposta al fuoco sotto le finestre del secondo piano). L’hotel Balkan venne incendiato perché mani assassine spararono e lanciarono bombe a mano ferendo e uccidendo gli Italiani, e non certamente come chi sostiene il contrario falsificando la verità storica. Nessuno slavo venne ucciso e lo Stato Italiano, come forma di risarcimento, costruì il teatro sloveno.
Vi furono una ventina di feriti, tra i quali, a morte, il tenente Luigi Casciana (su tutti i certificati ufficiali si legge: ferito mentre comandava un plotone); non era certamente fascista come qualcuno per opportunità politica vorrebbe far credere: egli, invece, stava difendendo i suoi assassini.
Arruolatosi volontario a diciannove anni per l’italianità di Trieste, il tenente Luigi Casciana morì lasciando la giovane compagna (il tenente non si poteva sposare prima di aver compiuto il venticinquesimo anno d’età) la signora Malvina Prandstaetter e il piccolo Luigi junior di appena cinque mesi, oggi come allora dimenticati da tutti e mai nominati. La povera madre del tenente Luigi Casciana, signora Giuseppina Sanzo di Gela, già vedova per l’italianità di Trieste, perse tutti i tre figli; non esiste dolore più grande.
Nel Narodni Dom vi era un vero arsenale, tanto che i vigili del fuoco non poterono intervenire per timore di uno scoppio. L’ultima bomba esplose proprio alle ore undici del giorno successivo ferendo un pompiere.
Per capire l’atmosfera di quegli anni bisogna ricordare che più aumentavano i patrioti Italiani, più Vienna immetteva (a migliaia) sloveni in tutti gli uffici: nelle ferrovie, polizia, dogana, magazzini generali, tribunali ecc… Il principe Hohenlohe organizzò una sistematica cacciata dei renicoli che doveva far posto agli slavi.
La sera dell’11 settembre 1897, così come nel luglio 1906, gruppi di sloveni furono scatenati per la città contro i locali pubblici, contro i caffè, contro l’ospedale, contro l’officina del gas, contro i vetri del tram, contro i fanali pubblici, contro la popolazione inerme. Puri saccheggi senza che la polizia intervenisse (essendo questa formata dal 93 per cento da slavi) tormentarono Trieste per sette ore. A Duino demolirono la scuola della lega nazionale appena compiuta asserendo che Trieste sorgeva su suolo sloveno.
L’Italia, nella prima guerra mondiale, oltre alle migliaia di mutilati, ha perso 600 mila giovani per liberare Trento e Trieste; per questo motivo il comune dovrebbe farsi carico della ricorrenza per assegnare una medaglia e pure una via alla memoria del tenente Luigi Casciana e del giovane Giovanni Nini.
I fatti del Balkan furono pubblicati il giorno successivo, 14 luglio 1920, su “Il Piccolo” e “l’Era Nuova”: cronaca scritta mentre si svolgevano gli avvenimenti e, quindi, non manipolata.